Quest'articolo è profondamente sbagliato. Partiamo dalla didascalia, dove troviamo l’immancabile rom=nomadi e chiariamo subito una cosa: il nomadismo non è mai stato un fatto culturale primario delle culture romanì, non si è rom perché si è nomadi e viceversa. Si può dire che il nomadismo sia stata più una necessità e che al giorno d’oggi di rom nomadi ne esistano ben pochi (un appunto: la maggioranza dei rom presenti in Italia possiede la cittadinanza ed è stabile nella penisola su per giù dal Medioevo. I rom presenti nei campi sono quelli scappati dalle guerre jugoslave negli anni '90, sono qui da allora e da allora chiedono soluzioni abitative alternative ai campi stessi). Passiamo alla foto associata all’articolo: davvero era la foto più rappresentativa, l’unica utilizzabile? O piuttosto è stata scelta perché permetteva al giornalista di aderire al gesto della donna, perché permetteva di mandare ai lettori il messaggio così chiaro nel titolo, 'arrivederci rom, a quel paese rom, qui non vi vogliamo'? C’è una favola rom che parla di accogliere il fratello, di dividere il pane e il caffè, di ritagliare abiti da vecchi mantelli per donarli ai poveri d’inverno, di intrecciare rose ai capelli dei figli dei gagé (=non rom) che si sono persi per tenerli al sicuro dagli spiriti della notte, perché ritrovino la via di casa. Una favola che forse l’autore di questo articolo e chi con lui grida 'arrivederci rom' avrebbe dovuto ascoltare più spesso. Commento di Morena Pedriali
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