Verso il 25 settembre
Dopo l’omicidio in pieno giorno di Alika Ogorchukwu a Civitanova Marche lo scorso 29 luglio, la reazione dei media italiani è stata di dedicare pagine su pagine ai problemi mentali dell'aggressore.
Quella delle forze dell’ordine invece è stata di escludere categoricamente “connotazioni di odio razziale alla base dell’aggressione”.
In Italia si parla del razzismo come se fosse un indumento che si può scegliere di non indossare semplicemente ripetendo la frase “io non sono razzista”.
Non è così. Come mostrato nel filmato "Occhio all'odio", il periodo pre elettorale del 2018 è stato caratterizzato da una serie di aggressioni razziste senza precedenti, e il rischio che lo stesso scenario si ripeta durante la campagna attuale è alto. Dopo anni di demonizzazione degli immigrati nel discorso politico-mediatico, esiste ormai nel nostro paese un sottofondo di rabbia contro gli stranieri, pronto ad esplodere in qualsiasi momento a livello sia individuale che collettivo.
Per i residenti nigeriani di Civitanova Marche, come per la comunità nera di Macerata dopo la strage del febbraio 2018, la preoccupazione principale non è né il bipolarismo degli aggressori né la scelta di usare o no la parola “razzismo”, ma la loro incolumità mentre camminano per strada.
Il razzismo italiano esiste, ampiamente paragonabile a quello degli Stati Uniti e qualsiasi altro paese, e prima cominciamo ad analizzarlo e discuterlo seriamente, meglio è.
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Questo articolo apparso su la Repubblica il 27 ottobre scorso avrebbe potuto raccontare una storia esemplare di accoglienza ed inclusione grazie alla garanzia di dirittti ed opportunità. Invece viene costruita una narrazione caratterizzata da superficialità e luoghi comuni e da cui traspare una cultura ancora intrisa di paternalismo, all’insegna di concetti quali il merito, la gratitudine e, ovviamente, la negazione di fenomeni di discriminazione ed esclusione nella nostra società.
La maggiore parte degli episodi che voi avete raccontate nel video sono stati riportati nella stampa come trafiletti, come articoli in pagine interne: singoli episodi staccati l’uno dall’altro. Non sono stati vissuti, interpretati e denunciati come un’escalation, come una sequenza criminale – in parte spontanea e temo in parte anche organizzata. E così si perde il senso della realtà di quello che sta succedendo e cioè il passaggio dalla violenza verbale alla violenza fisica contro gli immigrati, rom e cittadini di origine africana.
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