"L'orrendo titolo del Corriere dello Sport - "Black Friday", riferito alla partita di domani Inter-Roma e a Smalling e Lukaku - è un titolo certamente razzista, perché insiste sul colore della pelle di due giocatori associandoli al Black Friday, senza riferimenti alle loro qualità, alle loro carriere. Immaginatevi se potrebbe mai essere possibile un titolo del genere nei confronti dei bianchi. Tipo, che so, "Bianco Natale" per le partite che si giocheranno nel turno natalizio, dedicato a Cristiano Ronaldo e a Lautaro Martinez. A nessuno verrebbe mai in mente. E fa sorridere che il direttore di quel giornale e tanti italiani si affrettino a dire che non sono razzisti, ma che il politically correct sta rovinando l'Italia e cose così. Partiamo da un dato. Si può non essere razzisti (cioè non credere che esista una gerarchia di razze, in cui la presunta razza bianca - che, spoiler, non esiste - sarebbe superiore) e dire o scrivere comunque cose razziste. Ed è possibile perché noi viviamo in una società che il razzismo lo ha interiorizzato. E' esattamente a questo che serve la tanto vituperata "politically correctness". Ad essere più attenti alle cose che si dicono e si scrivono, perché questo può aiutare se stessi e gli altri a pensare meglio. E no, non sono solo parole. Perché noi che ci pensiamo bianchi (e sia sempre benedetto il libro di Ta-Nehisi Coates che mi ha insegnato un sacco di cose sul senso di corporeità) non riusciremo mai a capire cosa significa essere disprezzati, guardati con sospetto, vissuti come un potenziale pericolo solo perché esistiamo e siamo neri. Guardate che non è difficile. Lo spiega bene oggi anche Claudio Marchisio (lo so, lo cito sempre, ma parliamo di calcio e quindi va bene così) in un articolo sul Corriere della Sera in cui parla di Torino e dell'Italia dopo le dichiarazioni di Eni Aluko sul razzismo nel nostro paese. Scrive Marchisio: "Per chi come me e come la maggior parte dei lettori di questo giornale è un bianco in un paese europeo, credo sia estremamente difficile poter immaginare che cosa significhi ricevere sguardi diffidenti, battutine o peggio insulti per il colore della propria pelle. Possiamo provarci ma non credo arriveremo mai a percepire questo dolore costante. Eppure, l’unica strada che abbiamo è quella di insistere a cercare di indossare i panni di chi non ha la nostra fortuna o di chi semplicemente è ogni giorno costretto a “giustificarsi” per il proprio aspetto. Quello che noi possiamo fare è non minimizzare, non chiamare goliardia il razzismo, non chiamare tifo la discriminazione. Da questo punto di vista l’articolo di Eni è uno stimolo e per questo dobbiamo esserle grati. Non è ammissibile abbassare la testa davanti all’ignoranza, e ciascuno di noi può fare qualcosa nel proprio piccolo. Il suo è un segnale forte, Torino e tutta l’Italia devono riflettere e mostrare il meglio di sé."
Pietro Pinna
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