Coriere della Sera
7 Maggio 2009
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La caporale: «A Cuneo una signora mi ha chiamata 'la negretta'degli alpini»
Esordio dei militari di origine straniera in una parataufficiale: nelle forze armate sono 1.500
ROMA — Indossano il fez da bersagliere, la penna degli alpini,il basco amaranto dei parà. Uno ha la pelle nera, un altrolineamenti orientali, la giovane caporale uno splendidoprofilo sudamericano. Alcuni sono veterani di missioniall’estero. Escono in coppia, in squadra, in plotone. Ma li sipuò trovare anche nelle città, incaricati della sorveglianzadi caserme o ambasciate, e in queste ore in Abruzzo, impegnati nelsoccorso ai terremotati. Sono i «nuovi italiani» con lestellette. Un «reggimento» in aumento: figli di immigratidi seconda generazione, ex bambini «multicolori» nati da coppiemiste, oppure ragazzini adottati negli anni ’70 e ’80 e poicresciuti nelle nostre scuole, fino al momento della scelta diservire e onorare la Patria. La loro Patria adottiva. Eccola, la brigata multietnica dell’Esercito:stamattina sette di loro, in rappresentanza dei circa 1.500 militaridi cittadinanza italiana e origine straniera, faranno il loroesordio in una parata ufficiale. Saranno in tribuna d’onore percelebrare l’avvenuta «piena e felice integrazione». È statoil capo di Stato Maggiore, generale Fabrizio Castagnetti, ascegliere una giornata solenne come quella di oggi, 148˚anniversario della fondazione dell’Esercito italiano, per dareil suo suggello: alle 10.30, nel corso della cerimonia presso lacaserma «Gandin» alla presenza del capo dello Stato, l’altoufficiale oltre a ringraziare tutti i suoi soldati per la loro«professionalità, dedizione e umanità» dedicherà un salutoproprio a loro, i militari di origine straniera. E la consacrazione avverrà in un modo particolare,chiamandoli uno alla volta, per nome: prima i più alti in grado —i caporalmaggiori Luis Paudice, originario del Brasile, MurthiSello (India) e Gailson Silva Lopes (Capoverde), poi l’alpinaVivian Peña (Colombia), e infine i caporali Harol Alfonso CorralesMedina (Colombia), Walter De Luca (Filippine) e l’artigliereMonica Mary Sighel, seconda donna del gruppo, nata in Sri Lanka.Gongola uno degli ufficiali che ha organizzato l’evento: «Noidell’Esercito siamo fatti così: a 40 gradi all’ombra ezaino in spalle, ciò che conta è la capacità, lavorare gomito agomito e coprire le spalle al compagno. Non abbiamo pregiudiziné difficoltà di integrazione. E le storie di questi ragazzilo dimostrano». C’è ad esempio il sorriso e l’energia delcaporalmaggiore Vivian Peña, soprannominata dai colleghi«Pocahontas», che dalla Colombia dove nacque 24 anni fa ha giàrischiato la vita sotto le nostre insegne per tre volte,nelle due missioni svolte in Afghanistan e una in Kosovo.«All’estero nessun problema con i colleghi. Mai. Però una volta,sfilando a Cuneo con il mio battaglione, una signora esclamò:'Toh, c’è una negretta tra gli alpini!'».
Gailson Silva Lopes, originario di Capoverde e accentoromanesco, è il basco amaranto che ride accanto a due suoicolleghi davanti al temibile «Centauro», il blindopesante di cavalleria. «Di discriminazioni razziali — giura —non ne ho mai subite». Cresciuto a Gallicano, paesino in provinciadi Roma, adesso semmai lo prendono in giro per la divisa da paràdella Folgore quando gira per le strade di Pisa. Walter DeLuca è il basco nero al centro della foto: padre italiano e madrefilippina. Si conobbero e innamorarono durante una vacanza 21anni fa e ora loro figlio, VFP1 in fanteria, è in ferma di unanno presso la Scuola sottufficiali di Viterbo e sogna didiventare effettivo. E c’è anche chi ha fatto carriera: ilcapitano Edmondo Tito, 37 anni, sposato con un’informatricefarmaceutica abruzzese e padre di due bimbi, è nato in Senegal.«I miei genitori naturali non li ho mai conosciuti ». Fuabbandonato a sette giorni in un orfanotrofio e adottato a 10mesi da una coppia romana, papà pilota Alitalia e mammacasalinga. «Vivo in Italia da 37 anni — scherza giocandosui colori — e prima ero una mosca bianca: alle elementari, allemedie, al liceo scientifico Cannizzaro dell’Eur, sono semprestato l’unico nero. Poi la società e cambiata e l’Esercitoha rispecchiato, persino in meglio, questa crescita. Non potrebbeessere diversamente: noi abbiamo una vocazione internazionale,nelle mie missioni in Bosnia, Kosovo, Libano e Afghanistan hofatto esperienze indimenticabili». Il capitano Tito si è laureatoin Scienze politiche alla «Sapienza» e oggi lavora nell’UfficioInformazione dello Stato Maggiore: «Potrà sembrarestrano, ma tra militari abbiamo una mentalità più aperta —racconta —. Se un’idea buona viene a un caporale, vale lostesso. Sarà perché in maggioranza siamo giovani, abituati aconoscere altri popoli, ad andare in vacanza all’estero». Èfuori dalla caserma, semmai, che al capitano Tito qualcunonon manca di ricordare le sue origini: «Per esempio quando vadoal ristorante, qui a Roma: spesso capita che a mia moglie ilcameriere dia del 'lei' mentre a me del 'tu'. Oppure quella voltache, non ancora sposato, prestavo servizio a Perugia e con un collegaci presentammo da una signora per chiedere una stanza in affitto: alui la diedero, a me no». Fabrizio Peronaci
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